Perché per imparare a sviluppare l’empatia dobbiamo prima di tutto imparare a comprendere nel profondo l’espressione ‘siamo tutti connessi’? Se fossimo davvero coscienti che su questa terra siamo tutti profondamente legati, riusciremmo a provare la fase più intensa dell’empatia.
Empatia: una parola che sentiamo spesso, che sta arricchendo il vocabolario delle organizzazioni e delle soft skills che vengono sempre più richieste tra le competenze da apprendere nel lavoro e non solo.
Ma cosa significa davvero?
L’empatia è un elemento dell’Intelligenza Emotiva, quella capacità di capire e sentire le emozioni altrui, di calarsi nei panni dell’altro per capirne i bisogni, i sentimenti, per migliorare la comunicazione e le relazioni. Daniel Goleman ne ha scritto un libro che suggerisco di leggere per poter avere un primo approccio con questa disciplina, utile ad ogni età, per ampliare le vedute e migliorare i rapporti interpersonali.
L’empatia cognitiva
Dagli studi dello psicologo statunitense Paul Ekman è emerso che esistono vari livelli di sviluppo dell’empatia: il primo livello viene chiamato “Empatia Cognitiva”, ovvero la capacità di capire in modo razionale cosa sta provando l’altro.
L’esperienza di vita, che porta ognuno di noi a provare le variegate emozioni, arricchisce il nostro bagaglio personale, culturale e sociale e ci fa comprendere che se una persona ride, è gioiosa e allegra, ciò si riconduce all’emozione felicità.
Se banalmente l’altro ha la faccia crucciata, urla, ha modi violenti, in quel momento sai che sta provando rabbia. In modo del tutto razionale siamo in grado di capire le manifestazioni esterne collegate ad una delle emozioni primarie, tanto decantate dal film Inside Out, che consiglio di vedere per la semplicità e nello stesso tempo profondità della lettura delle emozioni, viste nella loro esplosione maggiore quando si tratta di viverle nel corpo di un adolescente.
Ma il soltanto capire le emozioni altrui e la situazione che si sta osservando servono per migliorare noi stessi, i rapporti con gli altri e contribuire al benessere dell’eco-sistema?
Evidentemente no, se ci guardiamo intorno. Ogni tanto soffro quando vedo genitori che trascinano letteralmente i loro bambini piccoli mentre questi sbraitano e piangono disperati. In quei momenti, da genitore quale sono anche io, capisco che ci sono dei momenti in cui perdiamo davvero la pazienza e non riusciamo a controllarci per la rabbia, l’impazienza, il nervosismo, la stanchezza.
Ma in quei momenti però predomina in me il dolore nel vedere quei bambini così sofferenti, che non hanno altro modo se non dimostrare con il pianto e la disperazione un bisogno insoddisfatto, una necessità di qualsiasi natura che va ‘domata’ con cura, amorevolezza e pazienza, anche quando è difficile per noi genitori mettere in atto un’attitudine di questo genere, vivendo in una società dove tutto corre, dove il tempo è tiranno, dove le priorità sono altre e non possiamo perdere tempo per stare dietro ai capricci dei figli.
L’Empatia emotiva
Ecco, in quei momenti avremmo bisogno di sviluppare un altro tipo di empatia, l’Empatia emotiva, ovvero la capacità di provare davvero ciò che sta provando l’altro, per capire fino in fondo cosa sta vivendo nell’intimo l’alta persona. Una capacità che siamo in grado di manifestare grazie ai neuroni specchio scoperti dal neuroscienzato italiano Giacomo Rizzolatti.
Per fare questo, spesso solo chi ha vissuto sulla propria pelle la stessa situazione può provare nel profondo quello che sta provando l’altro ed è in grado di restituire a voce, con le parole, ciò che l’altra persona sta vivendo. Pensa a chi ha subito una violenza, chi ha perso un figlio, chi è caduto in depressione. Sono situazioni talmente forti che solo chi ci è davvero passato può capire fino in fondo ciò che si prova.
Chi è molto sensibile ma non ha vissuto letteralmente la stessa esperienza può riuscire ad immaginare la situazione rivivendola personalmente grazie all’aiuto di sogni guidati, meditazioni, ipnosi. Persino la pratica delle costellazioni familiari o altre tecniche in uso nelle disciplina psicologiche aiutano la persona a vivere le emozioni di altri per risolvere dei drammi vissuti.
Non sempre però l’empatia emotiva è utile: un chirurgo che deve operare deve sapersi distaccare emotivamente dal suo paziente, affinché le sue emozioni non intralcino la riuscita dell’operazione.
Ma il distacco che si può provare a volte dilaga a livello globale e la frustrazione che oggi provo e che credo oggi proviamo in molti è l’incapacità di poter fare qualcosa per contribuire a migliorare i contesti sociali, politici ed economici generali, pur provando empatia in modo cognitivo ed emotivo nei confronti di popolazioni e società disperate. Cosa potrei fare io? Cosa potremmo fare noi, a migliaia di chilometri di distanza?
L’Empatia compassionevole
Paul Ekman definisce così il terzo livello dell’empatia, quella capacità non solo di capire e provare le emozioni dell’altro, ma di agire in modo spontaneo per aiutarlo, se c’è bisogno. Penso a quel povero bambino caduto in un pozzo in Marocco poco tempo fa, che ha riunito tutta la comunità locale e non solo, allargando i confini per arrivare ad unire i cuori di tutti coloro che hanno pregato per la sua salvezza. Il dolore spesso unisce, e nel dolore spesso si trova la forza di muoversi insieme verso la salvezza.
Penso a tutto ciò che abbiamo vissuto in questi due anni e a coloro che hanno avuto il coraggio di cogliere quanto accaduto per prendere delle decisioni importanti nella propria vita, sia dal punto di vista personale che professionale. Ecco, l’empatia compassionevole ci fa agire, ci porta a compiere azioni concrete e di supporto nei confronti di persone, animali e la natura che in quel momento può avere bisogno di aiuto.
E se su larga scala non siamo in grado di muoverci, facciamolo nelle nostre piccole realtà, perché spesso ci chiudiamo nei nostri appartamenti e non ci curiamo nemmeno di ciò che succede intorno a noi.
Un giorno mi è capitato di segnalare ad un ragazzo che camminava davanti a me che gli era caduto un sacchetto, ma ho capito che lo aveva fatto di proposito quando mi ha guardato con aria sprezzante, puntando il dito indice e medio sulla tempia. Il suo messaggio era: “fatti gli affari tuoi e lasciami stare, altrimenti…”.
Ecco, qualcuno potrebbe pensare che a volte è meglio farsi gli affari propri, per non incappare in problemi. Ma io sono orgogliosa del mio gesto, e continuerei a farlo, se vedessi qualcuno buttare a terra rifiuti. Non cambio il mondo? Cambio me stessa, agendo in prima persona in modo coerente verso ciò che non accetto e che desidero cambiare, per riuscire a dare il mio pur piccolo contributo ed educando le mie figlie a fare altrettanto.
Ci vuole empatia compassionevole quindi, perché se capiamo che siamo davvero tutti connessi, allora possiamo riuscire ad amare tutto: persone, animali, natura, ambiente, con una bella dose di umiltà e rispetto verso tutto il creato.